Non è la delibera che ci aspettavamo, non è la delibera di cui hanno bisogno le persone con fragilità che vivono nei servizi residenziali. La DGR 3226 di Regione Lombardia sui servizi residenziali è un documento in alcuni passaggi confuso, che rimanda continuamente ad altre norme (sia di carattere regionale sia nazionale) e che quindi non offre un quadro chiaro di riferimento né alle Agenzie di Tutela della Salute né agli enti gestori che dovranno applicarla. Un atto che segue una norma di ben altro spessore come il Piano Territoriale regionale per la riattivazione dei servizi diurni (DGR 3183), di cui auspichiamo una rapida implementazione. Un Piano Territoriale che rischia di entrare in conflitto con quest’ultima delibera, generando inutili problemi di interpretazione.
La delibera sui servizi residenziali disegna un impianto che poteva considerarsi adeguato forse all’inizio della pandemia, quando sarebbe stato più che mai necessario rendere impermeabili i servizi residenziali, e in particolare le RSA, alla diffusione del Covid-19. Ma sappiamo tutti che le cose sono andate diversamente. Applicarla oggi significa pensare coloro che vivono nei servizi residenziali non come persone, con gli stessi diritti e doveri di tutte le altre, ma come dei “ricoverati” che devono essere semplicemente curati e assistiti possibilmente rimanendo all’interno delle strutture. Ma chi conosce la varietà dei servizi residenziali e delle persone che li abitano sanno che la realtà è ben diversa.
Gli aspetti positivi di questa delibera sono ben pochi. Tra questi c’è: l’estensione dello screening sierologico (e in caso di positività il successivo tampone) agli operatori e alle tutte le persone ospitate nelle strutture prevedendo il costo a carico del SSR e la conferma della validità di quanto stabilito prima dall’art. 48 del DL n. 18 e poi dall’art. 109 del DL 34 in merito alla continuità dei progetti individuali e di servizio già avviati.
Per il resto le criticità sono diverse, tra queste
- In primo luogo sul piano della sicurezza. La delibera costruisce un sistema di relazioni che al posto di definire una rete di corresponsabilità tra persone con fragilità, famiglie, enti gestori, Comuni e ATS scarica tutto l’onere sul cosiddetto “Referente Covid-19” designato dagli enti gestori. Un scelta utile forse a non assumersi alcuna responsabilità civile e penale da parte delle pubbliche amministrazioni, ma decisamente inadatta a creare condizioni appropriate di vera sicurezza cucite su misura delle persone che vivono nei servizi. Un “Referente Covid-19” che dovrà essere accompagnato da un Comitato multidisciplinare, le cui funzioni e responsabilità non sono del tutto chiare, ma i cui costi saranno a carico degli enti gestori.
- In secondo luogo sul piano dell’appropriatezza. Le nostre richieste di prevedere atti distinti per la varie tipologie di Unità di Offerta sono rimaste inascoltate. Tutto confluisce sostanzialmente in un unico calderone, dove la matrice sono gli interventi previsti per le RSA che vengono poi applicati per tutta la filiera dei servizi per le persone con disabilità e fragilità di diverse età e con diverse tipologie di menomazioni e compromissioni. Pensare di garantire sicurezza e dignità applicando le stesse regole a persone ultraottantenni con diverse patologie e a persone giovani e adulte, ad esempio, con disabilità intellettiva, con problemi di dipendenza o senza particolari problemi di salute, prima ancora di essere sbagliato risulta essere del tutto illogico.
- Infine sul piano del rispetto dei diritti e della dignità delle persone con fragilità. Le restrizioni agli ingressi rimangono quelle del periodo duro del lockdown, quando tutti i cittadini -a prescindere dalle proprie condizioni di salute- vivevano barricati in casa. Ora si prospetta che, mentre il resto della società si apre a nuove relazioni sociali, la fase di confinamento per tutte le persone che vivono nei servizi residenziali si prolunghi a tempo indeterminato, indipendentemente dalle condizioni di salute delle persone. Le relazioni familiari continueranno, per chi ce la può fare, sempre e solo attraverso lo schermo di un computer. È grave anche non trovare nessun riferimento e indicazione per garantire il diritto ad uscire in sicurezza dalle strutture alle persone che vi vivono, a meno che non si consideri soddisfatta questa esigenza con il giro nel giardinetto interno. Per chi ha la fortuna di averne uno.
Questa delibera recepisce poco o nulla delle osservazioni, dei suggerimenti e dei consigli degli enti di Terzo settore che, ripetutamente, hanno chiesto di non omologare la realtà degli anziani con quella della disabilità, delle dipendenze, della salute mentale, della neuropsichiatria, dei minori rispettando i diversi bisogni dei cittadini e delle cittadine lombardi. Avremmo auspicato che l’esperienza positiva del confronto che ha portato all’approvazione della DGR 3183 in merito ai Piani Territoriali di riavvio dei servizi diurni e semiresidenziali potesse rappresentare un modello cui guardare. Così non è stato.
All’assessorato e alla direzione generale Welfare di Regione Lombardia chiediamo di poter ridiscutere la delibera prima che la sua applicazione generi costi e danni irreversibili.