DAMA: un esempio di inclusione sociale

di Edi Brasca Fasani *

Non posso iniziare questa breve riflessione senza aver prima ricordato con grande affetto e ammirazione Edoardo Cernuschi, che fu Presidente della LEDHA e che con la passione e la determinazione che lo distingueva volle con tutte le sue forze il DAMA, trovando in un medico dell'ospedale, Angelo Mantovani, e nel Direttore generale di quegli anni, Franco Sala, degli interlocutori che raramente capita di incontrare.

DAMA sta per "Disabled Advanced Medical Assistance", ma la versione dell'acronimo in lingua italiana, "Accoglienza medica dedicata ai disabili", rende molto meglio l'intenzione del progetto, poiché il termine accoglienza sintetizza bene ciò che lo caratterizza. E l'esperienza che ho vissuto in questi anni ha dimostrato che proprio l'accoglienza è uno dei tratti distintivi del DAMA. Sia la persona con disabilità sia chi l'accompagna (quasi sempre i genitori) devono potersi trovare a proprio agio fin dall'inizio di un percorso diagnostico e raggiungere così le migliori condizioni riguardo a un'effettiva possibilità di comunicare efficacemente lo stato di malessere la cui origine attende di essere diagnosticata.

Il volontario DAMA deve perciò accogliere e accompagnare i pazienti e i loro familiari, instaurando un rapporto costruttivo tra tutte le parti in causa. Il nostro intervento è teso a facilitare i rapporti tra i pazienti, i loro accompagnatori e il personale medico e paramedico, in modo da ridurre al minimo l'effetto degli imprevisti che possono insorgere.

È importante notare che l'espressione "corsia preferenziale" con la quale il materiale informativo definisce la possibilità per la persona con grave disabilità e con seri problemi di comunicazione di effettuare un percorso diagnostico, non va intesa come qualcosa di separato, una nicchia all'interno dell'ospedale, nella quale viene assistito il paziente disabile. Nel percorso diagnostico più frequente, il "percorso giallo", che si appoggia al Day Hospital, il paziente viene sì accolto nei locali dedicati al DAMA, ma poi gli si aprono tutte le strade del grande ospedale, verso i reparti specialistici di cui necessita. In questi reparti, dove il paziente viene accompagnato e affiancato dai noi volontari, nel tempo si è instaurata una ottima collaborazione con i referenti dei reparti stessi, i quali ci accolgono con grande disponibilità.

Tutto ciò fa dell'ospedale, nel suo insieme, un contesto che per le persone con disabilità è stato reso inclusivo, proprio nell'accezione che il termine oggi va assumendo nei documenti riguardanti la disabilità: l'ospedale è ancora quello che era prima del DAMA, con tutti i suoi pregi e tutti i suoi difetti, ma si è modificato per quanto riguarda la sua capacità di accogliere i disabili. E si è modificato, non tanto nelle sue strutture, quanto nelle modalità operative, al punto da non risultare più espulsivo, come invece purtroppo sono quasi tutti gli ospedali nei confronti di chi, oltre ad essere ammalato, presenta problemi di comunicazione.

* Volontaria LEDHA per l'accoglienza DAMA

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